Una sera di agosto mi chiama il collega: “Il pastore ha riportato le pecore a valle, una è stata sbranata e ne mancano tre”. All’alba partiamo. Raggiungiamo la malga con il fuoristrada e c’incamminiamo verso la montagna rocciosa. Tra larici e abeti, il sentiero conduce a una vasta pietraia, alla base dell’ aspra altura che si staglia asciutta e spigolosa nel cielo sereno. Ne osservo le pareti a strapiombo e i lunghi canali dove rotolano le rocce spaccate dal ghiaccio invernale. Verdeggiano sui fianchi i pascoli alpini illuminati dal sole. Quaggiù siamo ancora nell’ombra. L’aria è umida e fresca, il fruscìo dei passi nelle felci l’unico rumore. Muschi e licheni riveston le pietre radunate nella conca, sulle foglie dei mirtilli segnali d’autunno. “Guarda! vicino a quel masso c’è movimento.” Binocolo agli occhi, sono corvi imperiali. Lasciamo il sentiero e saltiamo sui sassi. I corvi ci vedono e si alzano in volo. Ad ogni passo si fa più intenso l’odore sgradevole della decomposizione: dietro a quel masso c’è il cadavere di una pecora. Il costato aperto, lo stomaco fuori, ossa frantumate e graffi sulla pelle. Trattengo il respiro, mi chino sulla carcassa e guardo da vicino le ossa spezzate, una ad una, cercando attentamente. Finché lo trovo: un pelo di orso. Il collega rimuove la campanella, uno sguardo attorno e ci dividiamo. Salgo sul fianco di una scarpata. Nell’aria che scende, l’odore è lo stesso. Ne seguo la scia finché la trovo: un’altra carcassa, la scena è la stessa. Immagino l’orso e la sua preda che fugge, poi la zampata e la pecora che rotola nella scarpata. Cespugli di ontano rivestono il fianco del canalone, sui rami ondeggiano ciuffi di lana. Vado a vedere, forse lì ce né un’altra. Mi aggrappo ai fusti e rassicuro i miei passi. Tra le foglie intravvedo le ossa, ben ripulite dalla carne, la campanella in un mucchio di lana. Sui sassi la firma degli spazzini: escrementi di volpi e di corvi imperiali. Avviso il collega che mi risponde: “Qui ce n’è un’altra vicino al sentiero, credo sia quella che ha trovato il pastore”. Scendo alla base del canalone, attraverso la conca e mi ricongiungo al collega.
Apriamo gli zaini, ci sediamo e mangiamo, mentre proviamo a ricostruire gli eventi. Dalle pareti che ci sovrastano, un sibilo strano c’incuriosisce.
Scrutiamo ogni anfratto, fessura e sperone di roccia. Niente. Ancora quel fischio. Sembra vicino, ma col binocolo è meglio. Eccolo! Svolazza e si aggrappa come una grande farfalla, ispeziona le crepe in cerca d’insetti. Becco lungo e sottile, il dorso come la pietra. Le ali rosse e nere con macchie bianche e rotonde. Un bellissimo picchio muraiolo.
L’AUDIORACCONTO